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Il fallimento e le rimesse revocabili di Carlo Pandolfini

  

 

 

Il fallimento è un procedimento concorsuale di esecuzione forzata sul patrimonio dell'imprenditore commerciale in stato di insolvenza mediante il quale si provvede, sotto la direzione dell'autorità giudiziaria, a liquidare tutte le attività e a distribuire il ricavato ai creditori, attuando la "par condicio creditorum", salve le cause legittime di prelazione.

 

 

 

I presupposti del fallimento sono:

 

  • lo stato di insolvenza del debitore: secondo l'art. 5 della Legge Fallimentare è fallibile: "L'imprenditore che si trova in stato d'insolvenza". Lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni;
  • l'appartenenza del debitore alle categorie che la legge ritiene "soggetti fallibili": sono soggetti fallibili gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. 

 

In sede processuale deve quindi essere dimostrato che la parte convenuta (nel nostro caso la Banca) fosse a conoscenza dello stato di decozione del cliente (ad esempio il protesto di assegni) e dell’esistenza di una situazione di tensione finanziaria oggettivamente rilevabile dalla lettura delle scritture contabili (bilancio) e dall’andamento della movimentazione del conto corrente (la presenza di molti insoluti può rappresentare una prova). La procedura è gestita dal Tribunale fallimentare e compete a tale organismo la dichiarazione di fallimento dell'impresa, se ne ricorrono le condizioni (cioè se si tratta di debitore assoggettabile al fallimento e se risulta la sua insolvenza).

 

Il Tribunale nomina con la dichiarazione di fallimento un giudice delegato e un curatore.

 

Il curatore ha il compito di liquidare, cioè trasformare in denaro, l'intero patrimonio del fallito su cui la legge prevede che debba svolgersi l'attività di liquidazione (massa attiva) e di ripartire il ricavato fra tutti coloro che la procedura ha riconosciuto come creditori del fallito.

 

L'applicazione della legge fallimentare comporta quindi per il fallito degli effetti patrimoniali, il primo dei quali è lo spossessamento, ossia la perdita della disponibilità e dell'amministrazione dei propri beni, che passano al curatore, anche se il primo ne mantiene la titolarità, fino alla liquidazione dell'attivo. 

 

In ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo nella materia delle rimesse in conto corrente bancario, per orientamenti ormai consolidati della giurisprudenza, le rimesse eseguite su conto corrente bancario caratterizzato da saldo passivo sono state considerate e giudicate a carattere solutorio, e dunque revocabili in quanto pagamenti, solo e nella misura in cui fossero confluiti su conti “scoperti” – cioè non assistiti da apertura di credito, ovvero con saldo passivo eccedente il fido concesso – oppure successive alla chiusura del conto o alla revoca del fido.

 

Ecco perché è importante, prima di procedere alla chiusura del conto corrente o alla revoca di fido ad un cliente potenzialmente fallibile, chiedere autorizzazione scritta agli uffici preposti (legale/rischio anomalo/contenzioso). La materia è talmente delicata da imporre la massima cautela. Ogni iniziativa deve essere attentamente  ponderata e condivisa con i settori specialistici.

 

Le rimesse infra-fido sono invece considerate, in linea di massima, a carattere meramente ripristinatorio ex art. 1843 Codice Civile, e dunque prive di natura solutoria.

 

Quando si parla di orientamenti giurisprudenziali dobbiamo accettare una certa difformità di pronunce da parte dei diversi Tribunali e conseguenti  discussioni da parte degli addetti ai lavori, fra l’altro, sulle condizioni in presenza delle quali poteva ritenersi, da un lato, concessa, dall’altro, provata un’apertura di credito in senso tecnico, ai sensi dell’art. 1843 Codice Civile e su quale fosse il saldo da prendere a riferimento ai fini del calcolo delle rimesse revocabili: il saldo contabile, il saldo liquido, ovvero – secondo l’orientamento affermatosi più di recente – il saldo così detto disponibile. Naturalmente l’esistenza ed il limite di un’apertura di credito devono risultare da un documento contrattuale, in assenza e al di fuori del quale le rimesse sono tutte assoggettabili a revocatoria fallimentare anche quando risulti che la banca abbia tollerato che il correntista operasse con conto al passivo senza una formale concessione di affidamento oltre i limiti del fido formalmente concesso. A questo proposito raccomanderei la massima attenzione nel raccogliere l’accettazione della proposta di affidamento su cui far apporre il timbro postale per la data certa.

 

Anche le rimesse in conto corrente derivanti da cessione di crediti contestuale alla concessione dell’affidamento in conto, all’epoca scoperto per un importo circa corrispondente al fido stesso concesso, sono revocabili in quanto alla base delle stesse è riscontrabile un intento solutorio.

 

In riferimento al presupposto oggettivo, la legge fallimentare richiede espressamente che il terzo avente causa dal fallito sia a conoscenza del di lui stato d’insolvenza. Peraltro, l’indagine sulla presenza di tale requisito deve essere svolta con riguardo alla data di compimento dell’atto impugnato. Detta prova, il cui onere grava sul curatore, può essere in realtà fornita anche su presunzioni. Si ritiene quindi che l’onere probatorio del curatore sia in realtà soddisfatto con la dimostrazione dell’esistenza di circostanze tali da determinare la conoscenza dello stato d’insolvenza in un soggetto di normale prudenza ed avvedutezza. Il convenuto in revocatoria potrebbe vincere la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza posta dalla legge a favore del curatore solo se dimostrasse l’esistenza, al momento in cui è stato posto in essere l’atto impugnato, di circostanze tali da far ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si fosse trovato in una situazione normale di esercizio dell’impresa. Risulta però assai difficile vincere tale presunzione se si considera che gli elementi valutabili positivamente per ritenere sussistente la conoscenza dello stato di insolvenza sono molteplici.  A titolo di esempio:

 

  • lo stato patrimoniale della società poi dichiarata fallita con relativa nota integrativa dalla quale è dato evincere la progressiva trasformazione della iniziale illiquidità della società debitrice in vera e propria insolvenza;
  • la relazione dell’amministratore giudiziario che evidenzia lo stato di decozione della debitrice;
  • le lettere di revoca degli affidamenti bancari da parte degli altri istituti bancari che certificano in modo inequivocabile l’accertato stato di insolvenza della società;
  • la documentata esistenza di operazioni di giroconto sui conti correnti gestiti dall’istituto di credito convenuto in revocatoria di effetti rimasti insoluti;
  • l’esistenza di decreti ingiuntivi emessi nei confronti della società debitrice.

 

 
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